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Paestum

Paestum

Bubble Nature Bubble Nature 17/02/2018 Holidays

Paestum è un’antica città della Magna Grecia chiamata dai Greci Poseidonia in onore di Poseidone, votata al culto di Atena ed Era; sotto i romani, prende il nome di Paestum. L’estensione è racchiuso dalle sue mura greche.

Strabone, che la mette in relazione con la polis di Sibari. La nascita della città avviene verso la metà del VII secolo a.C., la città di Sibari iniziò a fondare una serie di sub-colonie lungo la costa tirrenica, con funzioni commerciali: tra esse si annoverano Laos ed uno scalo, il più settentrionale, presso la foce del Sele, dove venne fondato un santuario dedicato ad Hera.

I Sibariti giunsero nella piana del Sele tramite vie interne che la collegavano al Mare Ionio. Grazie ad un intenso traffico commerciale che avveniva sia per mare

entrando in contatto con il mondo greco, etrusco e latino – sia via terra – commerciando con le popolazioni locali della piana e con quelle italiche nelle vallate interne – nella seconda metà del VII secolo a.C. si sviluppò velocemente l’insediamento che diede luogo a Poseidonia. Una necropoli, scoperta nel 1969 subito al di fuori delle mura della città, contenente vasi greci di fattura corinzia, attesta la polis intorno all’anno 625 a.C. Poseidonia: età greca Dal 560 a.C. al 440 a.C. si assiste al periodo di massimo splendore e ricchezza di Poseidonia. Tale apice fu dovuto a diversi fattori, come la diminuzione dell’influenza etrusca sulla riva destra del Sele nella prima metà del VI secolo a.C.

Con l’allentarsi della presenza etrusca si dovette creare un vuoto di potere ed economico nella zona a nord del Sele, vuoto di cui non poté non avvantaggiarsi Poseidonia. A tale evento seguirono altri due tragici accadimenti: la distruzione della città di Siris (=Policoro) sul Mar Ionio, da parte di Crotone, Sibari e Metaponto; e la distruzione di Sibari stessa nel 510 a.C., ad opera di Crotone.
L’esplosione di benessere e di ricchezza, che si riscontra a Poseidonia in coincidenza con quest’ultimo avvenimento, fa sospettare che buona parte dei Sibariti, fuggiti dalla città distrutta, dovettero trovare rifugio nella loro sub-colonia, portandovi le proprie ricchezze.

Ascrivibile al medesimo periodo è la costruzione di un monumentale sacello sotterraneo: potrebbe trattarsi di un cenotafio dedicato ad Is, mitico fondatore di Sibari, edificato a Poseidonia dai profughi Sibariti. Nello stesso arco cronologico, a distanza di cinquant’anni l’uno dall’altro, vengono eretti anche la cosiddetta Basilica (560 a.C. circa), il Tempio cosiddetto “di Cerere” (510 a.C. circa) ed il Tempio cosiddetto “di Nettuno” (460 a.C. circa).

In Età Lucana tra il 420 a.C. e 410 a.C.; i Lucani presero il sopravvento nella città, mutandone il nome in Paistom in questo periodo lo splendore proseguì ben oltre la “conquista” lucana, con la produzione di vasi dipinti( artisti di prim’ordine quali Assteas, Python e il Pittore di Afrodite), con sepolture copiosamente affrescate e preziosi corredi tombali; La città preservò le sue prerogative elleniche. Breve parentesi fu aperta nel 332 a.C., quando Alessandro il Molosso, re dell’Epiro – giunto in Italia su richiesta di Taranto in difesa contro Bruzi e Lucani

dopo aver riconquistato Eraclea, Thurii, Cosentia, giunse a Paistom. Qui si scontrò con i Lucani, sconfiggendoli e costringendoli a cedergli degli ostaggi.
Ma il sogno del Molosso di conquistare l’Italia meridionale ebbe breve durata: la parentesi si chiuse nel 331 a.C., con la sua morte in battaglia presso Pandosia.

Paistom ritornò così sotto il dominio lucano.

In Età Romana Paestum nel 273 a.C. Roma sottrasse Paistom alla confederazione lucana, vi insediò una colonia di diritto latino e cambiò il nome della città in Paestum.
I rapporti tra Paestum e Roma furono sempre molto stretti: i pestani erano socii navales dei Romani, alleati che in caso di bisogno dovevano fornire navi e marinai.
Le imbarcazioni che Paestum e la non lontana Velia fornirono ai Romani dovettero probabilmente avere un peso rilevante durante la Prima Guerra Punica.

Il geografo Strabone riporta che Paestum era resa insalubre da un fiume che scorreva poco distante e che si spandeva fino a creare una palude. Si tratta del Salso, identificato con Capodifiume, corso d’acqua che tuttora fluisce a ridosso delle mura meridionali, dove, in corrispondenza di Porta Giustizia, è scavalcato da un ponticello databile al IV secolo a.C. Probabilmente dovette iniziare ad impaludarsi l’area circostante la parte sud-occidentale dell’insediamento, in quanto il fiume non riusciva più a defluire normalmente a causa del progressivo insabbiamento della foce e del lido che doveva trovarsi non distante da Porta Marina.

È possibile notare come i pestani cercassero di correre ai ripari e difendersi da questa calamità, innalzando i livelli delle strade, sopraelevando le soglie delle case, realizzando opere di canalizzazione a quote sempre maggiori. Caratteristica delle acque del Salso, ricordata da Strabone, era quella di pietrificare in breve tempo qualsiasi cosa, essendo ricchissime di calcare.
Riscoperta solamente nel 2020, ma nota da prima dell’Ottocento è l’esistenza di una galleria lunga 50 metri che collegava la Basilica al Tempio di Nettuno e che conteneva quattro pozzi di raccolta delle acque piovane di scolo convogliate dai tetti della vicina, i due più grandi edifici di Paestum. La struttura,
accessibile da un vano scala, era utilizzata anche un luogo di culto per abluzioni rituali e rappresentava la soluzione all’annoso problema idrico di Paestum, causato dall’elevata salinità delle acque sorgive vicine al mare e dalla scarsa potabilità di quelle di Capodifiume.

L’impaludamento della città fece sì che essa si contraesse progressivamente, ritirandosi man mano verso il punto più alto, intorno al Tempio di Cerere, dove è attestato l’ultimo nucleo abitativo. Tagliata fuori dalle direttrici commerciali, insabbiatosi il suo porto, la vita dell’antica polis dovette ridursi a pura sussistenza. Con la crisi della religione pagana, poco lontano dal Tempio di Cerere sorse una basilica cristiana (chiesa dell’Annunziata), mentre pochi anni dopo lo stesso tempio venne trasformato in chiesa. Un interessante caso di sincretismo religioso si riscontra nell’iconografia della Vergine venerata nell’area pestana: uno dei simboli della Hera poseidoniate, la melagrana, emblema di fertilità e ricchezza, passò alla Madonna, che prese l’epiteto di Madonna del Granato. Sebbene fosse divenuta sede vescovile almeno a partire dal V secolo d.C., nell’VIII secolo o IX secolo d.C.

Paestum venne definitivamente abbandonata dagli abitanti che si rifugiarono sui monti vicini: il nuovo insediamento prese nome dalle sorgenti del Salso, Caput Aquae appunto, dal quale probabilmente deriva il toponimo Capaccio. Qui trovarono scampo dalla malaria e dalle incursioni saracene, portando con sé il culto di Santa Maria del Granato, tuttora venerata nel santuario della Madonna del Granato.
Nell’XI secolo Ruggero il Normanno avviò un’operazione di spoliazione dei materiali dei templi di Paestum, mentre Roberto il Guiscardo depredò gli edifici abbandonati della città per ricavarne marmi e sculture da impiegare nella costruzione del Duomo di Salerno.

Celebri sono le splendide tavole del Piranesi (1778), del Paoli (1784), del Saint Non (1786). Lo storico dell’arte Winckelmann visitò Paestum nel maggio del 1758 e l’incontro con i templi dorici pestani fu decisivo per la sua interpretazione dell’arte greca come origine dell’arte occidentale; Goethe, che fu a Paestum il 24 marzo del 1787, riconobbe nelle forme imponenti dei templi pestani la confutazione storica del paradigma ideale di una architettura dorica snella ed elegante.

con l’individuazione del cosiddetto “Tempio della Pace”, del comitium, della via di Porta Marina, e dell’anfiteatro – e si intensificarono le ricerche intorno
al Tempio di Cerere; venne dunque completato lo scavo delle mura, in parte restaurate con criteri discutibili, e vennero individuate le cosiddette Porta Marina e
Porta Giustizia.Il 9 settembre 1943 Paestum fu interessata, insieme alla località Laura, dalle attività marine delle forze alleate, a seguito dello sbarco a Salerno.
Dopo la II Guerra Mondiale gli scavi sistematici della città ebbero forte impulso: negli anni Cinquanta si approfondirono le indagini delle aree intorno ai templi,
portando al recupero delle stipi votive della “Basilica” e del “Tempio di Nettuno”; il “Tempio di Cerere” venne liberato dalle superfetazioni più tarde; nel luglio
del 1954 si scoprì il sacello sotterraneo. Più recente fu l’individuazione delle insulae ad ovest della Via Sacra, consentendo di comprendere alcuni elementi
dell’abitato della città antica, del suo impianto urbanistico e del suo sviluppo edilizio.
Tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio degli anni Settanta, vennero scavate sistematicamente le numerose e ricchissime necropoli di Paestum,
permettendo il recupero non solo di opere straordinarie e pressoché uniche, come la Tomba del Tuffatore, ma anche dei ricchi corredi funerari con le splendide
ceramiche di produzione locale, opera di artisti rinomati come Assteas, Python ed il cosiddetto Pittore di Afrodite. A partire dal 1988,incisivi interventi di scavo,
restauro e messa in valore dei monumenti della città antica.
Paestum è circondata da una cinta muraria quasi totalmente conservata, con un perimetro poligonale che si sviluppa per circa 4,75 km,seguendo l’andamento del banco
di travertino sul quale sorge la città. È costituita da una muratura a doppia cortina di grandi blocchi squadrati, riempita al centro con terra ed intervallata da
28 torri a pianta quadrata e circolare, quasi tutte ridotte a ruderi.In corrispondenza dei punti cardinali si aprono le quattro porte principali d’accesso;
vi sono inoltre una serie di ben 47 aperture minori, le posterule, funzionali sia per l’accesso in città sia per l’organizzazione della difesa: la Porta Sirena,
così chiamata da un animale fantastico scolpito con funzioni apotropaiche all’esterno di essa, si trova sul lato est; sul lato sud si apre invece Porta Giustizia,
con un ampio vestibolo d’accesso, difesa ai lati da due torri, una circolare,una quadrata;l’ingresso ad ovest, che affaccia verso il mare, avveniva attraverso
Porta Marina, dotata anch’essa di un ampio vestibolo lastricato e difesa ai lati da due torri, una circolare ed una quadrata;poco resta invece della Porta Aurea,
a nord della città, demolita agli inizi dell’Ottocento per il passaggio della Strada Statale 18.
La Via Sacra, utilizzata anche durante le processioni religiose, venne riportata alla luce nel 1907. Larga 9 metri, si presenta lastricata da grossi blocchi di calcare

alcuni recanti il solco lasciato dal passaggio delle ruote dei carri – e munita di marciapiedi sopraelevati; il lastricato romano ricalca il precedente tracciato di età greca. Su entrambi i lati, lì dove non vi siano aree pubbliche o cultuali, si estendono i quartieri abitativi della città, non ancora indagati nella loro interezza e complessità. La parte scavata presenta grandi strutture signorili, sovrapposte a più antiche costruzioni.
L’area del Foro, di forma rettangolare, venne sistemata dopo l’insediamento della colonia latina, ridimensionando il precedente spazio pubblico di età greca, l’agorà, e togliendo verso sud una fascia di territorio all’area (temenos) del santuario meridionale. La piazza romana si presenta fiancheggiata da vari edifici pubblici e religiosi e botteghe e cinto su tre lati almeno da un porticato su un piano leggermente rialzato. Sul lato meridionale sorge un edificio quadrato e absidato, sorto su una precedente costruzione greca, forse una stoà: della fase di età imperiale si conservano quattro basi marmoree di colonne poste intorno ad una struttura ottagonale, cosa che ha fatto identificare il complesso con un macellum. Segue un edificio rettangolare comunicante con il precedente, con semicolonne addossate alle pareti e un’esedra: si pensa possa trattarsi della curia. Sotto il suo muro meridionale sono i resti di un tempio italico di età romana repubblicana.

Un’altra sala rettangolare rappresenta i resti delle Terme, parzialmente scavate e ricostruite; una piccola costruzione con tre podi sul muro di fondo invece era probabilmente il lararium cittadino. Sul lato nord del Foro si trova il cosiddetto “Tempio Italico”, probabilmente il Capitolium della città romana.
Si tratta di un tempio esastilo, su un alto podio, preceduto da un’ampia gradinata con un semplice altare rettangolare. Il lato orientale del tempio si innesta su un edificio a gradinate in cui si riconosce il comitium: l’area centrale è accessibile attraverso corridoi a volta sia dal Foro, dove la facciata fungeva da
suggestum (podio per gli oratori).

Ancora ad est si trova una piccola costruzione greca, rettangolare, in muratura, probabilmente l’erario, sede del tesoro della città. Dietro sorge l’anfiteatro, esternamente in laterizio, tagliato in due dalla vecchia SS18. I Templi Miracolosamente giunti in ottime condizioni, tanto da essere considerati esempi unici dell’architettura magno-greca, sono i tre templi di ordine dorico edificati nelle due aree santuariali urbane di Paestum, dedicate rispettivamente ad Era e ad Atena.
Tra il 2003 e il 2013, l’area dei Templi di Paestum è stata protagonista di una serie di interventi di restauro che hanno permesso, oltre al recupero degli edifici, di fare luce sulle tecniche e i materiali utilizzati per la realizzazione degli stessi.

Tempio di Era La cosiddetta “Basilica” è in realtà un tempio dedicato ad Era. Tempio periptero (9 x 18 colonne), fu edificato a partire dal 550 a.C. circa e deve all’arcaicità delle sue forme il fraintendimento della propria funzione: una delle peculiarità strutturali più evidenti è nel fronte enneastilo (di 9 colonne), con la colonna mediana in asse con l’unico colonnato interno, mentre in età più recente il numero di colonne frontali sarà sempre pari.
È un tempio di ordine dorico dedicato a Era, dea della fertilità, della vita e della nascita, protettrice del matrimonio e della famiglia.

L’attribuzione cultuale del cosiddetto “Tempio di Nettuno”, il più grande tra i templi di Paestum, è, allo stato attuale degli studi le ipotesi più accreditate lo vogliono dedicato ad Hera, oppure a Zeus oppure ad Apollo. L’attribuzione a Nettuno è invece un errore compiuto dagli studiosi del XVIII-XIX secolo,
ai quali sembrò inevitabile che il tempio più grande di Poseidonia dovesse essere dedicato alla medesima divinità protettrice della città. Costruito interamente in travertino intorno al 460 a.C., l’edificio mostra soluzioni stilistiche ed architettoniche oramai prossime a quelle della fase classica dell’ordine dorico
e che lo rendono assimilabile al Tempio di Zeus di Olimpia, dalla cui datazione è stata ricavata, per comparazione, quella del tempio di Nettuno.

Tempio di Atena edificato intorno al 500 a.C., era in precedenza noto come Tempio di Cerere. È il più piccolo tra gli edifici templari, con colonne doriche nel peristilio e ioniche nella cella.

Elea, denominata in epoca romana Velia, è un’antica polis della Magna Grecia. L’area archeologica è localizzata in contrada Piana di Velia, nel comune di Ascea, all’interno del Parco nazionale del Cilento e Vallo di Diano e Alburni. L’accesso al sito archeologico è da Via di Porta Rosa. Lo storico e geografo greco Strabone, nella sua Geografia, parla della città di Elea-Velia, specificando che i Focei, suoi fondatori, la chiamarono inizialmente Hyele (?????), nome che poi divenne Ele, e infine, Elea. I Romani adottarono la forma Velia per il nome della città, attestata a partire da Cicerone. Dell’antica città restano l’Area Portuale, Porta Marina, Porta Rosa, le Terme Ellenistiche e le Terme romane, l’Agorà, l’Acropoli, il Quartiere Meridionale e il Quartiere Arcaico.

Elea fu fondata nella seconda metà del VI secolo a.C., da esuli Focei in fuga dalla Ionia (sulle coste dell’attuale Turchia) per sfuggire alla pressione militare persiana. La fondazione avvenne a seguito della Battaglia di Alalia, combattuta dai Focei di Alalia contro una coalizione di Etruschi e Cartaginesi, evento databile a un arco temporale che va dal 541 al 535 a.C. La città fu edificata sulla sommità e sui fianchi di un promontorio, comprato dai Focei agli Enotri, situato tra Punta Licosa e Palinuro. Fu inizialmente chiamata Hyele, dal nome della sorgente posta alle spalle del promontorio. Intorno al V secolo a.C., la città era felicemente nota per i floridi rapporti commerciali e la politica governativa. Assunse anche notevole importanza culturale per la sua scuola filosofica presocratica, conosciuta come Scuola Eleatica, fondata da Parmenide e portata avanti dall’allievo Zenone. Nel IV secolo entrò nella lega delle città impegnate ad arrestare l’avanzata dei Lucani, che avevano già occupato la vicina Poseidonia (Paestum) e minacciavano Elea. Con Roma, invece, Elea intrattenne ottimi rapporti: fornì navi per le guerre puniche (III-II secolo) e inviò giovani sacerdotesse per il culto a Demetra (Cerere), provenienti dalle famiglie aristocratiche del posto.

Divenne infine luogo di villeggiatura e di cura per aristocratici romani, forse grazie anche alla presenza della scuola medico-filosofica.Nell’88 a.C. Elea fu ascritta alla tribù Romilia, divenendo municipio romano con il nome di Velia, ma con il diritto di mantenere la lingua greca e di battere moneta propria.
Nella seconda metà del I secolo servì come base navale, prima per Bruto (44 a.C.) e poi per Ottaviano (38 a.C.). La prosperità della città continuò fino a tutto il I secolo d.C., quando si costruirono numerose ville e piccoli insediamenti, unitamente a nuovi edifici pubblici e alle thermae, ma il progressivo
insabbiamento dei porti e la costruzione, avviata nel 132 a.C., della Via Popilia che collegava Roma con il sud della penisola tagliando fuori Velia, condussero la città a un progressivo isolamento e impoverimento.

Zenone mostra le porte della verità e della falsità (Veritas et Falsitas, affresco nella Real Biblioteca del Monastero dell’Escorial, Madrid).

Le cascate dei Capelli di Venere si trovano nei pressi del paese cilentano Casaletto spartano, presso Zona Capello a un chilometro dal paese.
Casaletto Spartano è uno dei comuni dell’area a sud del Parco Nazionale del Cilento, Vallo di Diano e Alburni, conosciuta come Golfo di Policastro.
La cascata dei Capelli di Venere è formata dall’affluente del fiume Bussento, il Bussentino.
I Capelli di Venere sono uno spettacolo della natura che ha visto l’unione di 3 elementi, l’acqua del Bussentino scorre sopra la pianta Capelvenere che vive attaccata alla roccia. La cascata delle acque dai Capelli ha creato delle vasche naturali nel letto del fiume dove è possibile fare anche il bagno.
Un bagno nell’acqua gelida considerando la temperatura glaciale dell’acqua anche in pieno agosto.
I Capelli di Venere si trovano all’interno dell’Oasi dell’Area Capello, all’interno della quale sono presenti molte attrazioni: sentieri naturalistici per gli amanti del trekking, ponti e strutture. Tra queste ultime abbiamo un vecchio mulino ad acqua riportato agli antichi splendori che è possibile visitare.

Sono presenti nell’oasi anche dei ponti in legno, questi costruiti per raggiungere la cascata. Oltre a quelli in legno è presente anche un ponte normanno in pietra che sovrasta la cascata.
Il Bussentino, che alimenta la cascata, è un affluente che va ad arricchire le acque del fiume Bussento nei pressi di Morigerati. Il fiume Bussento, lungo 37 km, prende vita dalla sorgente Varco La Peta del monte Cervati a 900 metri sul livello del mare, nel comune di Sanza. Il fiume, durante il suo percorso, alimenta la diga artificiale del Lago Sabetta e scompare nel sottosuolo a Caselle in Pittari. Il fiume Bussento, prima di sfociare nei pressi di Policastro Bussentino, riemerge alla superficie a Morigerati, dove ha dato vita alle Grotte del Bussento, divenuta oasi wwf.

Il nome dato alle cascate dei Capelli di Venere è da ricercare nella pianta che ricopre la roccia sopra la quale scorrono le cascate. Si tratta di una felce di nome Capelvenere, da cui il nome alle cascate. Il Capelvenere è una pianta molto elegante da un colore verde molto acceso e un aspetto leggero.